Terroir

C'è una linea che collega il vino al recupero della vitalità della terra; è però necessaria la consapevolezza del senso storico, che si raggiunge indagando le motivazioni alla base delle pratiche contadine.

La tradizione diviene così un'alleata per coltivare l'innovazione.

Sandro Sangiorgi, L'invenzione della gioiaPorthos edizioni, 2012

 

STORIA

Tre milioni di anni fa circa, gran parte dell’attuale Lazio giaceva sotto le acque del mare e affioravano esclusivamente i massicci dei Monti Lucretili, Tiburtini, Prenestini e Lepini, mentre le cime degli attuali Monti Cornicolani, del Monte Soratte, dei Monti della Tolfa ed il Circeo erano isole. Successivamente, circa due milioni di anni fa, il fondo del mare si sollevò a seguito dell’intensa attività tettonica, formando una grande pianura e parte delle acque del mare rimasero intrappolate in giganteschi laghi salati non molto profondi ai piedi dei Monti Lepini, Tiburtini, Prenestini e lungo quasi tutta la fascia pre-appenninica. Dall’ultimo milione di anni poi, il Vulcanesimo ha modellato definitivamente il volto del Lazio come lo conosciamo oggi. Una serie di apparati vulcanici hanno squarciato gli strati sedimentari da nord a sud a causa dei complessi eruttivi del Volsino -1, ora Lago di Bolsena -, del Cimino- Vicano – 2, ora lago di Vico - , del Sabatino – 3, ora laghi di Bracciano e Martignano - e ultimo, in ordine temporale, il Vulcano Laziale – 4, ora con laghi di Albano e Nemi. Il Vulcano Laziale iniziò la propria attività circa 600.000 anni fa, sorgendo a sud della pianura romana con un cono vulcanico di 60 km di base. Questa attività si può descrivere in tre fasi principali, ognuna delle quali della durata di migliaia di anni, intercalata da lunghi periodi di stasi.

Nella prima fase, quella più imponente, viene eruttata una grande quantità di materiali pari a 200 kmc circa. In questo periodo vengono deposte numerose colate piroclastiche di “pozzolane rosse”, che in alcuni punti arrivano anche a 90 m di spessore e altri materiali che daranno origine al “tufo litoide” a cui segue un’intensa attività effusiva. L’attività di questa prima fase termina con il collassamento della parte alta del cratere del vulcano. Questo crollo determina la formazione di una cinta di rilievi, gran parte della quale è ancora ben visibile, denominata caldera Tuscolano-Artemisia. Nella seconda fase, che avviene dopo un periodo di quiete, sorge un altro vulcano più piccolo al centro della caldera del precedente vulcano. Questo periodo di attività risulta inferiore per quantità di prodotti eruttati, i materiali fuoriusciti sono stati di soli 2 kmc circa. Nella terza e ultima fase concentrata nella parte nord-ovest del vulcano, si è verificato l’incontro a grandi profondità di acqua e magma incandescente. A causa dell’enorme pressione creatasi si sono verificate violente esplosioni che hanno dato origine ai bacini degli attuali laghi vulcanici di Nemi e Albano. Anticamente i bacini lacustri erano molto numerosi, ma nel corso dei secoli sono stati quasi tutti prosciugati dall’uomo. E’ molto probabile che le prime popolazioni presenti in quest’area, abbiano convissuto con le fasi eruttive finali del Vulcano Laziale. 

Moltissimi e di grande interesse sono i resti archeologici risalenti all’epoca romana. Tra i più importanti ricordiamo il complesso dell’antica città di Tuscolo, con il Teatro molto ben conservato risalente al I secolo a.C., i resti del Foro, della cosiddetta Villa di Tiberio e diversi sepolcri. Adiacenti i nostri vigneti si trovano i resti della Villa di Domitilla (I sec. A.C.) e di Matidia Augusta (I sec. D.C.). Molto importanti anche i siti archeologici di Albano, Ariccia, Nemi e Lanuvio.

Di grande interesse storico ed architettonico sono le Ville Tuscolane - raffigurate qui sopra da Greuter nel 1620 - risalenti al periodo rinascimentale presenti nell’area dei comuni di Frascati, Monte Porzio Catone e Grottaferrata, e dei suoi importanti giardini all’italiana. Villa Aldobrandini, Villa Falconieri, Villa Torlonia, Villa Grazioli, Villa Rufinella, Villa Mondragone, sono tra le più importanti. La presenza di queste Ville, di proprietà delle più conosciute e ricche famiglie romane del tempo (tra tutti i Borghese) ha reso possibile il radicamento e rafforzamento delle tradizioni agricole e in particolare vitivinicole di quest’area. Numerose sono le testimonianze dei visitatori durante il Gran Tour.

In epoca moderna, dopo la costruzione dell’Osservatorio astronomico di Monte Porzio Catone c’è stato un rilevante incremento di enti di ricerca di Fisica su tutto il territorio di Frascati.

La storia a cui abbiamo accennato e la vicinanza di una città come Roma, ha reso quindi questi luoghi fortemente antropizzati. Con le sue molteplici attività l’uomo ha praticamente ridisegnato gli aspetti originali del paesaggio vegetale dei Colli Albani. Buona parte della fascia vegetazionale a roverella è stata sostituita dalle coltivazioni e dal pascolo, mentre l’antico bosco originario è stato in gran parte sostituito dal castagno adibito al taglio periodico. Il castagno, che trovò in questi suoli vulcanici un habitat perfettamente idoneo alle sue caratteristiche di crescita e sviluppo, venne impiantato per i molteplici usi ai quali era adatto: costruzioni edili, navali, mobili e infine tini, botti e bigonci in viticoltura. Questa breve storia vuole cercare di restituire l’immagine di un territorio che da moltissimo tempo nel bene e nel male, ha subito grandi trasformazioni, accompagnando l’uomo nella sua evoluzione agricola e culturale. Il vino ne è uno specchio emblematico.

Testi presi e in parte rielaborati, dalla guida del Parco dei Castelli Romani  

Titolo: Ballon de Fête religieuse

Il disegno preparatorio della litografia fu realizzato da Antoine Jean Baptiste Thomas  in occasione di un suo viaggio ai Castelli tra il 1816 e il 1818.

In seguito acquerellato da Francois Le Villain nel 1823. 

Descrizione: Il volo della mongolfiera in occasione della processione di San Giuseppe Calasanzio a Frascati

 

SUOLO

Discorso a parte nel parlare di questo terroir lo merita il suolo, andando a vedere nello specifico che tipologia abbiamo nella valle dove sono i nostri vigneti. Infatti la breve storia geologica suddivisa a grandi linee per fasi eruttive non rende onore alla grande complessità e differenze tra versanti e microzone ognuna con le sue peculiarità. Come si vede nella planimetria affianco tratta dal PRG, sono tre le zone che caratterizzano la Pentima. La zona celeste consiste in depositi da limo-argillosi a sabbioso-limosi del fondovalle e delle zone d’impluvio, la zona rosa sono invece le “unità eruttive di Villa Senni”, depositi piroclastici massivi costituiti da scorie e inclusi litici in abbondante matrice cineritica grossolana debolmente coerente. La parte gialla intorno invece è costituita da depositi di colate laviche litoidi di colore grigio-plumbeo porfiriche, debolmente cementate. Analisi specifiche del terreno, realizzate dal gruppo di ricerca Vitenova hanno evidenziato una composizione media di sabbia - 70%, limo - 22%, e argilla - 8%, e valori molto alti rispetto alla norma di potassio e sodio. Questo dimostra la particolarità minerale, di vini che lavorano più sulle sapidità che sulle acidità
 

 

UVE, VINI, PERSONE

Il vitigno che dà il genio ai vini dei Castelli è il Cesanese, che non esitiamo a riconoscere come uno dei migliori vitigni italiani, e che osammo chiamare addirittura il nostro pinot. 

Mancini C. 1888, Il Lazio viticolo e vinicolo

Nell’immagine a fianco, un vigneto a “conocchia”, ossia come erano allevate le vigne in passato ai Castelli Romani, tratto dal libro di Mancini. Veniva costruita ogni anno una impalcatura realizzata con le canne, infatti: "Quando si comprava un vigneto, in dotazione ci doveva essere sempre il canneto, perché si diceva che “la vigna non può stare senza canneto come la donna non può stare senza marito”. Parole di Antonio Cugini di Marino su: “Vitae di un vignaiolo”, a cura di Maurizio Taglioni.

Arrivare in questa zona così importante per tradizioni, stratificazioni e contraddizioni, è stata fonte di stimolo, ispirazione e ha avuto un enorme significato per noi.  Quando abbiamo deciso di comprare le vigne in questa zona, oggi poco considerata, abbiamo pensato: "siamo ancora in tempo..." per provare a tenere insieme questa grande tradizione con il nostro impegno di giovani vignaroli. Le scelte di produzione sono dettate quindi dallo studio, l'esperienza e il confronto con questa secolare cultura vitivinicola che ci mette al riparo delle effimere mode di cui spesso è protagonista il vino.

Le seguenti testimonianze sono state prese dalla bellissima pubblicazione "Una borgata che è tutta un'osteria" - il Museo diffuso del vino di Monte Porzio Catone, a cura di Simona Soprano (ed. Exorma, 2010).

"La romanella, noi la facevamo la settimana de Pasqua. Pe' prima cosa il vino non veniva chiarificato, e poi si metteva in bottiglia in modo che rifermentava e diventava un pò frizzante. Era tutta de Trebbiangiallo"

Leonilde, 85 anni, Zagarolo

"Oggi se fa fermentà il mosto assieme alle bucce solo pe' i vini rossi, mentre pe' i bianchi se separano subito le parti liquide del mosto da quelle solide. Il vino bianco fermentato insieme alle bucce era d'un colore più ambrato che oggi non piace più a nessuno a vedello, ma c'aveva più corpo de 'sti vini bianchi de oggi, era corposo, ricco di polifenoli, tutte quelle sostanze che mo dicono che fanno bene al cuore, alla circolazione e alla salute insomma. Oggi i vini bianchi non fermentano più con le bucce, vengono chiarificati, filtrati, je se levano tante sostanze... che ce rimane?"

Bruno, 63 anni, Genzano 

"Il vino rosso qui a Genzano se faceva con Cesanese e Aleatico abbinati. Era un vino secco, con tutto lo zucchero svolto, pieno, bono. Infatti c'era anche una canzone che diceva: ...C'avemo er vino 'bbono / aleatico e Cesanese / è l'unico mestiere / che adopra 'l Genzanese / c'avemo er vino 'bbono / te 'mbarsima la gola / te fa scordà li debbiti / e te scioje la parola..."

Fernando, 74 anni, Genzano

"Sia il Passito, sia il Cannellino se facevano coll'uva scelta, magari la facevi appassì sulla pianta tagliando la treccia, così non arrivava più la linfa e l'uva diventava più leggera ma più dolce, più concentrata. Qualcuno lo fa ancora, ma poco, più che altro ognuno se ne fa un pò pe' conto suo. Se lo facevi co' la Malvasia puntinata se chiamava Cannellino, se era fatto col Trebbiano lo chiamavi Passito. Se beveva solo ne le occasioni, alle feste, ai matrimoni... Era servito assieme ai dolci ma pure col fagiano, co' la pernice, co' la lepre, col cinghiale"

Giovanni, 80 anni, Monte Porzio Catone

 

Il recupero di questo sapere e “saper fare” connesso ad una dimensione artigianale del fare vino ci ha portato a scoprire diversi personaggi con cui abbiamo collaborato. Su tutti Alfredo Sannibale di Albano, l’ultimo bottaio rimasto in tutti i Castelli Romani. Sono realizzate da lui le tre botti che abbiamo in cantina – due in castagno locale e una in ciliegio selvatico del nostro terreno. Riportiamo alcune parole per far capire quanto possa essere cambiato in soli 50 anni il mestiere di vignaiolo e tutto ciò che vi era connesso: “ Io quando ero ragazzo e c’era mio padre, qui, ad Albano, c’erano nove bottai, che lavoravano a tempo pieno, si lavorava tutti quanti, poi dagli anni sessanta s’è visto che incominciava a scendere il lavoro perché cominciava a organizzare le cantine sociali e cose varie, poi dopo negli anni settanta il grande esodo dall’agricoltura, è finito il piccolo produttore ed è finito il bottaio”.

Parlare con lui significa recuperare un contatto con una cultura del vino che sta scomparendo ma crediamo debba essere tramandata per contestualizzarla.

Di seguito il link di un progetto interessantissimo al quale Alfredo ha preso parte: l’orchestra di Experimentum Mundi, diretta da Giorgio Battistelli.

https://www.youtube.com/watch?v=ofSO6LnhXiQ